Sono appena reduce da un incontro presso l’Alleanza Cooperativa Internazionale a Roma in cui ho illustrato, insieme al sottosegretario Luigi Bobba, il mio disegno di legge di riforma dell’impresa sociale.
Le imprese sociali sono state il mio primo amore, lavorativo, s’intende. Dopo la laurea ho sgobbato (insieme a tante magnifiche persone) dieci anni per sviluppare in Italia l’idea di un’impresa partecipata da lavoratori e volontari, senza scopo di lucro, impegnata nella produzione di beni e servizi di interesse collettivo e di beni comuni.
L’Italia è stata il primo paese europeo a sviluppare l’idea dell’impresa sociale e a riconoscerla nel 1991 con la legge sulla cooperazione sociale. Oggi il paese conta più di 12.000 cooperative sociali, che forniscono oltre la metà dei servizi di welfare e occupano oltre 400mila lavoratori, tra cui almeno 30 mila svantaggiati.
Nella convinzione che fosse necessario favorire ulteriormente lo sviluppo di queste forme imprenditoriali, prevedere la possibilità di costituire imprese sociali anche in forma diversa da quella cooperativa e consentire di operare anche in attività diverse dall’erogazione di servizi sociali, socio-sanitari e educativi, il Parlamento nel 2005 ha approvato la legge delega sull’impresa sociale a cui è seguito il decreto legislativo. Ma il successo di questa nuova normativa è stato limitato.
L’interesse recentemente manifestato dall’Unione Europea è forte: la Commissione Europea ha approvato la Social Business Initiative, dove riconosce l’impresa sociale e individua una serie di misure di sostegno tra cui la costituzione di appositi fondi per il finanziamento al capitale di rischio. Benché sia la legge sulla cooperazione sociale sia quella sull’impresa sociale rispettino in pieno la definizione europea, occorre vigilare per non perdere significative opportunità. Da qui la necessità di intervenire modificando la legge.
I pochi, ma risolutivi interventi necessari contenuti nel disegno di legge sostenuto anche da molti altri colleghi per rendere la legislazione sull’impresa sociale pienamente operativa sono: rendere non facoltativa, ma obbligatoria l’assunzione dello status di impresa sociale per tutte le organizzazione che ne abbiano le caratteristiche; introdurre la possibilità di remunerare il capitale, seppur in misura limitata e non speculativa e quindi mantenendo un vincolo totale sul patrimonio; riconoscere le cooperative sociali come imprese sociali di diritto senza inutili modifiche statutarie o modifiche nella denominazione; riconoscere la natura di Onlus di diritto, ed il conseguente regime fiscale a tutte le imprese sociali qualsiasi sia la forma giuridica adottata; semplificare le modalità di formazione e presentazione del bilancio sociale, pur mantenendone l’obbligatorietà.
Complimenti a chi ha voglia di leggersi il testo e la relazione allegati e grazie a chi vorrà darmi spunti e avanzare critiche.
Stefano Lepri