Scrivo in una pausa (ore 19) della Undicesima Commissione al Senato, dove siamo bloccati per l’ostruzionismo dei pentastellati, che hanno presentato circa settecento emendamenti sul cosiddetto decreto lavoro. Il Governo ha presentato qualche ora fa gli emendamenti, concordati faticosamente in maggioranza, che permetteranno di votare il provvedimento la prossima settimana, per poi farlo approvare definitivamente e senza ulteriori modifiche alla Camera, entro i sessanta giorni oltre i quali il decreto decade.
Non vi annoio sui tecnicismi; ricordo solo che gli emendamenti che saranno approvati nelle prossime ore, in particolare:
ü eliminano l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato, nel caso si superi il venti per cento dei tempi determinati rispetto a quelli indeterminati, sostituendolo con sanzioni amministrative;
ü ridefiniscono l’obbligo di confermare a tempo indeterminato almeno il venti per cento degli apprendisti: esso vale solo per le imprese oltre i cinquanta dipendenti, non più oltre i trenta, come previsto dall’emendamento PD alla Camera (il testo del Governo non prevedeva alcun obbligo).
Il decreto non è una rivoluzione; lo sarà invece, verosimilmente, la delega che cominceremo a discutere tra due settimane. Piuttosto, il decreto va considerato un opportuno aggiustamento delle varie misure relative ai contratti a tempo determinato e all’apprendistato. L’obiettivo non è certo, come falsamente propagandato, l’ulteriore flessibilità, o peggio precarietà. La possibilità di prorogare fino a cinque volte di seguito il contratto a tempo determinato va invece nella direzione di stabilizzare progressivamente il lavoratore a tempo parziale, senza introdurre vincoli e ostacoli (come quelli di obbligare ad attendere dieci o venti giorni tra un contratto e l’altro) che hanno invece solo frenato la domanda di lavoro e determinato un vorticoso turn over di occupati.
Lo stesso dicasi per l’apprendistato, dove sono stati ridotti gli obblighi burocratici (semplificando il piano formativo) e di stabilizzazione. La sfida è quella di combattere le forme di lavoro nero, di lavoro atipico (cocopro, lavori a progetto, ecc.), ma anche forme positive come i tirocini formativi, che tuttavia dovrebbero essere utilizzati solo come esperienza di alternanza scuola lavoro o appena dopo il ciclo di studi, mentre invece se ne abusa.
Contratti a tempo determinato e apprendistato, non dimentichiamolo, sono sì contratti a termine, ma almeno prevedono il versamento dei contributi previdenziali e pur sempre assicurano un reddito certo fino al termine del contratto. Insomma, il tempo indeterminato resta l’obiettivo vero, ma apprendistato e contratti a tempo determinato sono pur sempre strumenti tutelanti e accettabili all’inizio della carriera lavorativa.
Infine, abbiamo rimandato alla delega la sfida del contratto a tempo indeterminato a tutele progressive. Troppo complicato, a questo punto, introdurre nuove questioni, che tuttavia dovranno essere affrontate quanto prima.
Stefano Lepri