In questi giorni si sta decidendo l’iter per l’approvazione della legge elettorale alla Camera. La linea decisa in Direzione è quella di non modificare nulla rispetto al testo uscito dal Senato, così da approvare in via definitiva il testo.
Nel frattempo, continua la polemica, talvolta sostituita da toni più dialoganti e anche, voglio credere, costruttivi. D’Alema, ad esempio, dice che nessuno vuole affossare la riforma ma solo migliorarla mentre aggiunge, con il garbo che lo caratterizza solitamente, che la sostituzione di dieci membri PD della Commissione Affari costituzionali è stata una forzatura sgradevole. Credo vi siate già fatti un’opinione dopo molto confronto, anche sui quotidiani, ma forse può servire un ulteriore veloce commento sul metodo e sul merito.
Quanto alla sostituzione dei membri di Commissione appartenenti alla minoranza, non si tratta di una prevaricazione, ma della logica conseguenza delle decisioni prese a maggioranza. Se il gruppo parlamentare e la direzione politica a larga maggioranza scelgono una linea, non è corretto da parte di chi li rappresenta in una Commissione votare diversamente, tanto più se quel voto, insieme ad altri, finisce per essere determinante nel modificare l’indirizzo deciso. Altra cosa è invece la libertà di voto in aula che, secondo il regolamento del gruppo, è possibile su voti di coscienza. Ma, aggiungo, sempre tenendo conto anche del vincolo di disciplina che lega ogni deputato e senatore alle decisioni prese a maggioranza.
Quanto al merito, rimando al bell’intervento di Augusto Barbera a difesa dell’Italicum, aggiungendo solo alcune punture di spillo.
Ai leader desiderosi delle sole preferenze ricordo (se ne sono dimenticati) che a suo tempo loro stessi avevano sostenuto il referendum contro le preferenze e che, alla fine, almeno la metà dei parlamentari saranno scelti direttamente dai cittadini: più che con il Porcellum e il Mattarellum.
Ai nostalgici del Mattarellum ricordo invece che erano i partiti a decidere chi mandare nei collegi migliori e nei listini per la quota proporzionale, cioè a decidere i molti nominati.
A chi sostiene che il premio di maggioranza è troppo alto, dico che scatta da una soglia mica bassa: il 40% almeno. E a chi dice che si eliminano le minoranze, preciso che il 3% come soglia minima è tra le più basse previste in Europa.
Se c’è forse un argomento che merita vera considerazione, è quello di chi sollecita il premio di maggioranza alla coalizione invece che al singolo partito. Rispondo che le coalizioni in questo ventennio hanno, loro sì, portato all’ingovernabilità e a quel consociativismo che invece si paventa. D’altronde, nulla osta a che il centrodestra si riorganizzi, accantonato Berlusconi, diventando una forza come la CDU in Germania o il Partito Repubblicano negli USA. E senza che ciò porti necessariamente al bipartitismo, come dimostrano i pentastellati in Italia.
Stefano Lepri