Sembra finalmente che si faccia sul serio sulla legge elettorale, modificando il Porcellum che ha mandato in Parlamento solo nominati dai partiti. Che sia una porcata lo dicono (quasi) tutti, visto che il popolo non ne può più di un’oligarchia di pochi e di un esercito di parlamentari che dipendono dal capo corrente.
Sappiamo peraltro che l’introduzione delle preferenze comporta il rischio (vero) di meccanismi clientelari e di spese elettorali elevatissime. D’altronde, le preferenze e i rischi sottesi sono già presenti alle elezioni regionali. Perché in questo caso nessuno se ne è preoccupato?
Sembra che la soluzione preferita tra i partiti sia quella dell’uninominale maggioritario, affiancato da una quota di eletti su base proporzionale: una sorta quindi di riedizione del cosiddetto mattarellum, con cui si votò nel 2001. In questo modo – si dice – si ridà il voto di preferenza agli elettori ma si evita la competizione totale tra candidati e il conseguente rischio di mercimonio. Può essere vero, ma resta una domanda cruciale. Chi decide, nel partito e nella coalizione, la lista dei primi nella quota proporzionale e il candidato di questo o di quel collegio uninominale, sapendo che ve ne sono alcuni in cui verrebbe eletto anche un cavallo (come direbbe Caligola) e altri in cui non vincerebbe neanche Obama? Il partito a livello provinciale? Il partito a livello regionale? Il partito a livello nazionale? I circoli territoriali di quel collegio? I cittadini di quel territorio, o di un territorio di area vasta, attraverso le primarie?
Ciò che resta largamente inesplorato nel nostro partito (e ancor di più in tutti gli altri partiti, che democratici al loro interno non sono) è capire come valutare le candidature sulla base dei meriti effettivi dei candidati e del loro percorso di (buona) amministrazione. In altri termini: l’esperienza parlamentare dovrebbe di norma essere il culmine di una carriera politica – tenuto conto degli studi e delle esperienze professionali e confermata anche dai voti di preferenza ottenuti in diverse competizioni elettorali – che parte dall’amministrazione locale e che viene largamente riconosciuta dagli organi di partito a livello provinciale e/o regionale. Non dovrebbe invece essere né un premio per la fedeltà al capo, né il posto per chi passa il tempo a costruire intrecci e far tessere, né il traguardo d’improvvisati masanielli e capipopolo locali.
Stefano Lepri