Una delle ragioni della spesa eccessiva nella sanità piemontese risiede nel numero eccessivo di ASL e ASO. Pur avendole già ridotte anni fa e razionalizzate recentemente, sono ancora troppe e operano spesso come principati autonomi. Facile intuire che ciò moltiplica le strutture, la burocrazia e quindi la spesa inutile, che potrebbe essere convertita per servizi come l’assistenza domiciliare alle persone anziane malate croniche, oppure per nuove assunzioni di medici e infermieri.
Le ASL di provincie piccole si potrebbero fondere con altre giungendo a una dimensione più consona, come peraltro previsto nel recente disegno di legge della giunta regionale sulla gestione associata dei servizi. Anche la città di Torino potrebbe vedere la fusione delle sue due ASL. Si potrebbero poi unire tra loro, per rafforzarli in modo complementare, Mauriziano e San Luigi.
Se si vuole fare di più, si discuta sulla possibilità (anche a lungo termine) di eliminare le ASO, senza diminuire il ruolo di quegli ospedali. Nell’attuale Piano Sanitario essi sono infatti considerati di alta complessità e di riferimento per una certa area vasta; non vi è quindi alcun rischio di un loro svilimento, se non nominalistico, nel caso si decida che diventino parte di una ASL. Ciò permetterebbe di evitare la conflittualità latente tra ASO e ASL e l’intreccio costoso che ne deriva. L’obiettivo, pur ovviamente restando la libertà di scelta, sarebbe di ridurre la mobilità fuori ASL, potendo il cittadino trovare all’interno la gran parte delle prestazioni, così da abbattere le procedure amministrative. Secondo obiettivo: andare verso un finanziamento per quota capitaria, pur corretto, superando il criterio di riparto anche basato sulla spesa storica.
Queste soluzioni consentirebbero anche una riduzione della linea di comando e un governo più snello tra Assessorato e Aziende, senza tuttavia un accentramento eccessivo. A ciascuna delle nuove ASL potrebbero restare gli acquisti non centralizzati, un solo magazzino e molte le altre funzioni.
Insegnamento e ricerca possono essere esercitati su più presidi ospedalieri o servizi di territorio, così come già avviene in altre regioni e in parte anche già in Piemonte. In questa prospettiva - ma è necessario l’assenso delle Università - possono bastare, insieme al superamento delle ASO, due sole Aziende Ospedaliere Universitarie (AOU) per tutta la regione, a cui far afferire le sole strutture dedicate alla didattica, alla ricerca, nonché le poche specializzazioni di altissima complessità con rilievo regionale che non possono essere assicurate in ogni ASL o area vasta. Queste AOU regionali sarebbero direttamente finanziate dalla Regione, prescindendo dai riparti per popolazione.
Resta la questione della città di Torino e della sua provincia. In alternativa alla fusione tra le due ASL cittadine e se teniamo conto del numero di abitanti, della gerarchia degli ospedali e dei flussi di mobilità verso quelli di alta complessità, quasi tutti presenti nella città capoluogo, può discutersi anche una proposta più radicale: suddividere la provincia, e quindi anche la città, in “spicchi” e relative ASL. Tale soluzione contrasta con l’esigenza di garantire servizi sociosanitari e territoriali omogenei per tutti i cittadini della metropoli, anche legati alla particolare condizione di deprivazione e solitudine che caratterizza un’ampia fascia della sua popolazione. Questa esigenza potrebbe tuttavia essere perseguita prevedendo per legge un coordinamento stabile anche con la presenza riconosciuta del Comune di Torino e, ad un secondo livello, della Città metropolitana.
Ho prefigurato dunque diverse ipotesi, da quelle più soft ad altre più drastiche. Si tratta di decisioni che il Consiglio regionale può prendere anche prima della nomina dei nuovi direttori generali; ma che potrebbero anche essere raggiunte entro un triennio, quindi da considerare come orientamento di lungo periodo del prossimo Piano sanitario e da costruire tuttavia fin da subito, specie attraverso gli atti aziendali. Sono scelte che trovano non pochi ostacoli e opposizioni, ma che - e ciò è essenziale - avrebbero il vantaggio di liberare risorse per servizi veri, specialmente sul territorio e a domicilio, che oggi mancano o rischiano di venire meno.
Ancora troppe Asl in Piemonte, ridurle si può (la Repubblica 12 febbraio 2015)
Stefano Lepri