Su La Repubblica di oggi Ivan Scalfarotto ricostruisce in maniera scorretta una riunione del PD sulle unioni civili. Il gruppo ristretto era composto da cinque senatori e cinque deputati. Lui non era stato scelto tra i dieci, eppure si presentava sempre e interveniva lungamente. All’ennesima presenza non prevista, ho chiesto a Scalfarotto a che titolo fosse presente. Tanto più che i favorevoli alla stepchild erano già in larghissima maggioranza.
Scalfarotto risponde: “sono presente come semplice deputato, come Ivan”. Io rispondo: “allora non hai titolo a partecipare”. Apriti cielo! Con furia Scalfarotto alza la voce: “tu non sai che io sono molto seguito sui social. Non insistere, perché rischi di essere massacrato in rete”. Io preferisco non rispondere, per non esasperare i toni, già surriscaldati. Tutti i partecipanti non potranno che confermare esattamente questa versione.
Per me la cosa finisce lì, ma oggi Scalfarotto crede di potermi dare una lezione, passando oltretutto da discriminato. In realtà, in quel caso ha confuso la passione personale (legittima e apprezzabile) con il ruolo parlamentare (un gruppo ristretto non ammette eccezioni) con quello di Governo (è sottosegretario). In più si è anche esercitato su versioni moderne del “Lei non sa chi sono io”. Fino a minacciare un linciaggio mediatico nei miei confronti. Comunque avvenuto, pur senza citare il fatto.
Ma la vera falsità è quella politica: sostenere che i cattolici del PD la legge non la volevano. Siamo noi che abbiamo contribuito a che passasse: è grazie allo stralcio della stepchild se la legge oggi è in sintonia con il Paese.
Anch’io sono contento che sia stata approvata nel modo e con i contenuti del Senato. Ma non c’è ragione di voler passare anche per martire. O per far passare dei colleghi di partito come integralisti o prepotenti.
Stefano Lepri