RIFORMA TERZO SETTORE, IN FRETTA MA ANCHE BENE

 

Terzo-Settore

 

In settimana ho avuto un franco dibattito con il direttore della rivista Vita, Riccardo Bonacina, rispetto alle presunte lentezze dell’iter parlamentare, ma anche sui contenuti, che io penso possano ancora essere migliorati. Vi rimando al dibattito on line sul sito www.vita.it

Caro direttore,

accetto la provocazione contenuta nel tuo editoriale e, per quanto mi riguarda, sono pronto a lavorare d’agosto pur di accelerare. Preciso peraltro che al Senato non siamo responsabili di particolari ritardi: le audizioni sono state fatte in una sola giornata. Abbiamo perso un mese e mezzo, con il conseguente slittamento dei termini per gli emendamenti, in quanto erano già calendarizzati in Commissione altri provvedimenti. Quanto a me, posso assicurare: non desidero passare alla storia. Preferisco che passi alla storia questo Governo e questo Parlamento, in quanto capaci di prefigurare in un’unica lungimirante legge quadro la fase due del terzo settore in Italia, dopo un trentennio di sviluppo vorticoso e di tante leggi settoriali.

Per questo, capisco l’attesa ma non l’impazienza: meglio fare una legge completa e ben fatta che bruciare le tappe, per poi dover mettere dopo le toppe. Anche perché la mia relazione, presentata in Commissione, era stata salutata da molti pubblici e autorevoli apprezzamenti, tra cui il tuo. Ne avevo tratto convinzione a procedere e per questo sono rimasto sorpreso nell’incontrare prudenza, se non ostilità, di fronte ad alcune mie prime ipotesi emendative, che solo traducono le argomentazioni avanzate.

Intendiamoci: il lavoro alla Camera è stato notevole, ma io penso (e con me altri colleghi del Senato, anche intervenuti nel dibattito generale in Commissione) che vi siano ancora margini per migliorarlo. Possiamo provare ad evitare di vivere tutto ciò come lesa maestà, bensì come normale dialettica, tra le due Camere e con il Governo, visto che oltretutto si tratta di una legge delega? Possiamo attenderci che i vari stakeholder, ma anche alcuni parlamentari, che si sono affannati a dichiarare la loro delusione per i ritardi mostrino ancora un po’ di volontà di approfondire, per evitare il sospetto errato che l’interesse (o l’opinione, per i colleghi) di cui sono detentori sia anche un po’ venale?

Ecco allora la proposta: Vita smetta di darci la sveglia: ha ragione e abbiamo capito. Ora apra un forum, focalizzato sui nodi ancora aperti, per fare in modo che a settembre si possa arrivare a scioglierli più facilmente, arrivando alle inevitabili mediazioni. E, soprattutto, aiutando l’approvazione di un testo che vada alla Camera per l’approvazione finale senza più essere modificato.

I titoli principali sono, credo, noti. Siamo sicuri che l’attuale testo ci consentirà di dire con certezza che il più esclusivo circolo sportivo della capitale non potrà più beneficiare del cinque per mille, come oggi avviene? Io dubito. I controlli previsti bastano e con che soldi li facciamo? Non diciamo nulla sul dumping contrattuale? Possiamo sperare che le nuove imprese sociali (magari la Bocconi o la Cattolica, e sarà una bella notizia se decideranno in tal senso) si accontentino di una remunerazione del capitale fino al cinque per cento, godendo anche degli incentivi, dei contributi, delle erogazioni e delle agevolazioni previste, senza voler pretendere di più? Vogliamo dirci che l’impatto sociale altro non è che la misurazione dell’efficacia e che questa - pur importante e pur rassicurando chi si prepara professionalmente a misurarla - non può essere l’obiettivo di un’impresa sociale? Ha senso avere un doppio elenco di campi di attività: le attività di interesse generale e i settori di utilità sociale (solo per le imprese sociali)? Possiamo introdurre una nuova definizione valida per tutti (gli enti di terzo settore) e mantenerne in vita altre due (gli enti non commerciali e le onlus) che non hanno un fondamento civilistico bensì fiscale e che tra loro non coincidono? Sempre a proposito di semplificazioni: dobbiamo continuare a passare dalle Prefetture, con procedure barocche, per la personalità giuridica e la valutazione della solidità patrimoniale iniziale delle associazioni o, piuttosto, non conviene dire esplicitamente che si passa dai notai? Sui registri si vuole suggerire una modalità semplificata? I Centri di servizio per il volontariato possono non avere (come consentito nel testo Camera) il principio della “porta aperta” e possono erogare contributi direttamente, in concorrenza con le fondazioni bancarie?

Come si può intuire, queste ed altre questioni minori non sono nodi banali. Io sento la responsabilità, come relatore al Senato, di doverli portare alla discussione generale. Anche a costo di passare, spero ingiustamente, per vanaglorioso o perditempo.

Stefano Lepri

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