Riporto l’intervento fatto in occasione dell’incontro Open PD, organizzato da alcuni comitati Renzi a Torino sabato 22 giugno scorso al Sermig, e che ho dato come contributo al dibattito organizzato dal settore formazione regionale del partito.
Per rilanciare il PD non serve altro che tutelare e perseguire la sua vocazione originale: quella di essere un partito aperto e partecipato. Anzitutto, mantenendo la sua più significativa innovazione, quella delle primarie per l’elezione dei leader di governo, ai diversi livelli, e per il segretario nazionale e regionale. Primarie aperte anche ai non iscritti e capaci di interessare chi è deluso dalle altre offerte politiche; chi - anche solo al secondo turno - può essere attratto dalla leadership di un candidato o da un partito a vocazione maggioritaria.
Per far vincere il PD credo serva anche prevedere sistemi elettorali dove i candidati siano visibili e scelti: meglio con le preferenze, ma anche con i collegi uninominali. Abbiamo una classe dirigente radicata e una militanza capace di mobilitarsi intorno alle candidature, cosa difficilmente riscontrabile nei partiti aziendali o a vocazione populista. Non è un caso che il PD, anche quest’anno, sia andato molto meglio alle elezioni regionali e a quelle amministrative, dove il peso delle preferenze si è fatto sentire.
Peraltro, il PD non deve ridursi a luogo in cui ci si mobilita solo per votare (alle primarie o alle elezioni), pena il rischio di diventare un grande contenitore di comitati elettorali. Ci vuole anche il nerbo dell’organizzazione quotidiana, del radicamento territoriale. Andiamo dunque oltre l'alternativa tra partito solido e partito liquido: ci vuole, al contempo, appartenenza e riferimento.
La partecipazione occasionale può avvenire in ambiti prepolitici. Ad esempio i meet up altro non sono che una riedizione dei vecchi comitati di quartiere: ci si ritrova a casa dell’uno o dell’altro, o al bar, pro o contro un’opera, un fatto, un’idea. Raggiunto o mancato l’obiettivo, ci si scioglie, o restano legami. I partiti dovrebbero guardare con rispetto e distanza tali esperienze, ma debbono anche mettersi in ascolto, interpretarne le istanze e, se del caso, perseguirle.
Altro modo per favorire una nuova partecipazione occasionale, di riferimento, è il coinvolgimento on line di chi ha dichiarato attenzione al partito, a cominciare da chi è venuto alle primarie: si dovrebbero coinvolgere (senza troppa insistenza e frequenza) in sondaggi, richiesta di suggerimenti, ecc.
Dentro il partito possono organizzarsi componenti che si ritrovano intorno a specifiche idee e a un leader. Esse vanno riconosciute senza demonizzarle, evitando peraltro che prevarichino rispetto all’esigenza di sintesi e di unità. Certamente possono servire, se non degenerano, a favorire una partecipazione più intima, face to face, specie in partiti grandi come il nostro; a creare ponti per passare dal prepolitico, dall’associazionismo alla vita di partito.
Infine, l’articolazione del PD. I circoli sono importanti, ma vanno svecchiati nel modo di lavorare e nell’immagine. Le icone di un tempo servono a rassicurare chi ha vissuto la storia, non a motivare chi ce l’ha davanti. I circoli (servono anche quelli tematici, non solo quelli territoriali!) sono i luoghi fondamentali per il coinvolgimento di nuovi militanti: molto dipende dalla capacità dei dirigenti di essere accoglienti e di valorizzare chi si avvicina e vuole darsi da fare.
Più in generale, nel circolo e negli organi di partito, così come in ogni organizzazione, valgono alcune abilità e modi d’essere largamente conosciuti per avere successo nel lungo periodo e valorizzare le persone: ti faccio entrare; ti faccio parlare; ti ascolto; ti assegno ruoli precisi; chiedo conto dei tuoi risultati, ti valorizzo se meriti, non se brilli per servilismo o tatticismo. E, infine, ti faccio posto, dando fiducia ai migliori.
E ancora, vale sempre, in ogni luogo, lo spirito con cui si lavora e si conduce la vita di partito. Se vincono la prevaricazione, il calcolo di breve periodo, il gregarismo, avremo il fiato corto. Se prevalgono pratiche di fraternità, andremo lontano.
Stefano Lepri